Il disegno è una pratica orrendamente incoerente.
Non rappresenta mai la realtà, e non si tratta di una considerazione banalizzabile con la conclusione che il disegno sia solo una rappresentazione di come l'autore vede la realtà più che una rappresentazione fedele di quest'ultima. Il disegno è una pratica composta tanto da rituali e ritualità, quanto da tecniche e tecnicismi, è un linguaggio complesso e complessato, compassato e di compasso, segue un ritmo autoriale proteso al rispetto di un ordine ben preciso, ma questo non gli impedisce di cedere all'incoerenza, perché spesso per raggiungere la prefigurazione è necessario creare un'illusione, è necessario suggerire all'occhio una profondità che la tecnica da sola non è capace di rendere o di esaurire compiutamente. L'intuizione vale più di un milione di calcoli, una serratura vale più di una porta aperta; il succo è che un disegno per suscitare tensione nell'osservatore non deve denudarsi, ma deve vestirsi di tante piccole incoerenze regolabili al piacere dell'autore e dell'osservatore stesso, perché dopo tutto il nostro intimo desiderio infantile è sempre quello di giocare ovunque con qualunque cosa ci capiti a tiro.
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